11 settembre 2001 – 11 settembre 2018
Sono passati 17 anni dall’11 settembre 2001. Per noi nati in questa epoca questa data è lo spartiacque fra il mondo di prima e quello di adesso.
(Foto di Filippo Andrea Rossi, dal sito TGCOM24)
L’11 settembre 2001 due aerei si schiantarono a pochi minuti l’uno dall’altro su uno dei simboli più riconoscibili di New York: le torri gemelle. E’ successo tutto in pochi minuti, gli schianti degli aerei, gli incendi furibondi, la gente che scappava per strada.
E poi i crolli.
Assieme alle torri gemelle è crollata anche un’epoca e ne è iniziata un’altra più difficile.
Nei miei occhi ci sono ancora le immagini viste ai telegiornali, la nube di polvere piena di fantasmi, le macerie sparse ovunque. E’ una cosa che non si può dimenticare più.
In una piazzetta vicina al posto dove si trovavano le torri, nello Zuccotti Park, c’è la statua di un uomo con una valigetta 24 ore.
La statua attira la mia attenzione, è danneggiata, mi avvicino per guardarla meglio e arriva un signore con un libretto. Mi ha vista incuriosita ed è venuto a spiegarmi cosa stavo guardando. Sfoglia il libretto, trova una foto. Forse era questa. (Dal sito Art Nerd – questo è l’articolo che ne parla).
Nell’inferno di quelle prime ore dopo l’attentato questa statua è stata scambiata più volte per un uomo, smarrito, sotto choc e coperto di polvere.
Questa statua ha finito per diventare un simbolo della New York post 11 settembre: fin da subito è stata scelta spontaneamente dalla popolazione per rappresentare le centinaia di persone morte nell’attentato.
Quando l’hanno riportata dallo scultore (John Seward Johnson) per un restauro lui ha deciso di ripulirla e basta, e di lasciare in vista i punti danneggiati, perché ormai la statua era diventata un simbolo.
( La storia dell’uomo con valigetta la trovate anche sul sito Atlas Obscura)
Da Zuccotti Park basta fare pochi passi per arrivare a quello che adesso è il memoriale dell’11 settembre.
La prima volta che siamo passati da qui, nel settembre del 2010, questo posto era irriconoscibile. Un cantiere enorme, un buco nel terreno brulicante di attività .
Anche il nome era diverso, si chiamava Ground Zero.
Ground Zero è un termine inventato negli anni quaranta per descrivere il luogo dove era avvenuta un’esplosione atomica.
Dopo il crollo apocalittico che è costato la vita a migliaia di persone l’area dove sorgevano le torri è diventata Ground Zero, devastata come da un’esplosione nucleare.
Ground Zero adesso è un parco, un memoriale delle vittime dell’11 settembre.
Due fontane semplicissime decorano un boschetto di querce bianche. Queste fontane sono quadrate, e ricalcano con precisione l’area occupata dalle torri che non ci sono più. L’acqua scroscia all’interno delle fontane, e sui bordi in metallo sono incisi i nomi delle eprsone morte nell’attentato. Centinaia di nomi.
Su alcuni nomi c’è una bandierina americana, su altri una rosa bianca. Scopriamo che la rosa bianca è un regalo di compleanno, un modo per continuare a ricordare negli anni chi non c’è più.
Un’associazione di volontari si occupa proprio di questo, di mettere le rose sul monumento.
E’ un parco molto sereno, e guardandoci attorno noto diversi signori anziani con la casacca dei volontari: sono guide, ognuno racconta una storia.
Scelgo di ascoltare la storia di un alberello sotto al quale si è raccolto un gruppo di bambini.
L’albero è adornato di bandierine e disegni, capisco che deve essere speciale e quando inizio ad ascoltare mi commuovo.
Quell’alberello è un pero. Era stato piantato negli anni 70 nell’area tra le due torri, e dopo qualche settimana dal crollo venne ritrovato dai vigili del fuoco.
Era quasi completamente bruciato, solo un ramo dava ancora segni di vita. Venne spostato in un centro specializzato dove lo curarono e lo aiutarono a riprendersi.
Venne soprannominato The survivor tree e appena è stato possibile è stato riportato al suo posto, in quello che adesso è il memoriale dell’ 11/9.
Alla fine della spiegazione i bambini vanno spontaneamente ad accarezzare il tronco, segnato da cicatrici.
Un gesto gentile, che forse li aiuterà a capire pian piano l’enormità di quello che è successo.
E forse proprio loro faranno in modo che non succeda più.
Qui il nostro viaggio a New York e qui il racconto del primo giorno di visita.
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